Storia
Quasi tutte le fonti concordano nell'assegnare ai signori di Pinerolo, e segnatamente al ramo dei Bersatori, la prima signoria sul paese, data probabilmente dall'abate di Santa Maria attorno al XII secolo. L'infeudazione successiva avviene nel 1324, ad opera dei conti di Savoia (che ne erano evidentemente tornati in possesso), che concede Macello ai Signori di Bricherasio. A questa punto, ci sembra doveroso aprire una parentesi, ed inquadrare storicamente sia la famiglia di Bricherasio, che con Francesco I ottiene il feudo e muta così il proprio nome in di Macello o, alla piemontese, Massel, sia gli avvenimenti che hanno portato a questo mutamento, che, come vedremo tra poco, non sarà l'unico. I di Bricherasio di cui stiamo parlando erano i discendenti di Guglielmo I di Bricherasio, di origine Anscarica, che per primo prese a dividere in quarti tra gli eredi il proprio feudo, Bricherasio appunto. Questa divisione del feudo portò la famiglia di Bricherasio a dividersi in quattro rami distinti: il ramo di Castelvecchio, quello di Castelnuovo, quello di Castellazzo e quello, da cui derivano i di Macello, di Santa Caterina. Dai numerosi atti che attestano la prestazione di omaggi ai Savoia comprendiamo chiaramente quali fossero le loro posizioni politiche: cosicché quando gli stessi Savoia, per i loro disegni, ebbero bisogno del feudo di Bricherasio, e ne iniziarono la compera delle varie porzioni, i di Santa Caterina non esitarono ad aggiungere a quelli già acquistati il proprio quarto. La vendita avvenne il X die mensis octubris MCCCXXXIII, e comprendeva quella parte di redditi feudali che era dei di Santa Caterina, e cioè: 1 moggio di frumento e 13 sestarii di segala per la decima, un mulino, terre, cortili, vigne, ed il palacium sito ad Sanctam Catelinam. Francesco I di Macello appare nell'ottobre del 1329 ad bastitam Paysane, e, nel novembre dello stesso anno, apud Caburrum pro guerra facienda in favore dei Savoia. Non sappiamo quanti figli abbia avuto Francesco I, ma da più parti ci consta ne abbia avuto almeno uno, Alberto II, a sua volta padre di Francesco II. Sappiamo da vari documenti, raccolti dal Bollea e successivamente pubblicati, che nel 1355 Francesco II era castellano di Pinerolo, e che sovvenzionava, essendo, a quanto pare, molto danaroso, gli stessi principi di Acaia. Tant'è che il 2 febbraio 1356 consegnò il proprio feudo nelle mani del notaio Romeo Lambano di Carignano, a ciò delegato da Giacomo di Acaia. Ma nel 1360 scoppia la guerra tra il conte Amedeo VI di Savoia ed il cugino Giacomo di Acaia, e Francesco II di Macello non esitò a schierarsi con i Savoia contro gli Acaia. Giacomo di Acaia non perse tempo a vendicarsi, dichiarando Macello devoluto alla sua Camera, e reinvestendone, il 27 gennaio, Francesco Bersatore, tornando così il paese ai vecchi feudatari. Francesco II continuò per la sua strada, legando sempre più i propri destini a quelli dei Savoia, finché, ricomposti i dissidi tra Savoia ed Acaia, riuscì, con abili mosse diplomatiche, a riconquistare la fiducia del principe pinerolese ed a farsi riconsegnare il proprio feudo. Due furono i figli di Francesco II: Antonio III e Francesco III, i quali (la storia si ripete) si trovarono coinvolti nella lotta tra Filippo di Acaia ed Amedeo VI di Savoia, il Conte Verde, e, come loro padre, si schierarono contro gli Acaia. Anche Filippo di Acaia usò la stessa vendetta di suo padre, togliendo loro Macello ed infeudandolo in Antonio di Romagnano il 29 giugno 1368. Antonio di Romagnano era un fedele degli Acaia fin dal 7 giugno 1364, quando in una contesa fra il marchese di Saluzzo ed il principe, si era alleato con quest'ultimo. Questa infeudazione fu la fortuna di Macello, che scampò così alle incursioni ed ai saccheggi che le compagnie di ventura assoldate da Filippo fecero per due mesi, al principio del 1368, tutto attorno al paese, rovinando Barge, Envie, Cavour, Bricherasio, San Secondo, Miradolo, Perosa, Osasco, Frossasco, Cumiana, Cavallermaggiore, Piossasco, Beinasco, Villafranca e Santa Maria di Pinerolo. Ma Filippo era destinato ad una tragica fine, annegando ancor giovane nelle acque del lago di Avigliana, alla fine di dicembre del 1368, lasciando così il principato nelle mani del Conte Verde, diventando questi il tutore del giovane Amedeo, fratello di Filippo, dal 1368 al 1377.
Chiaramente questo fatto segnò l'inizio della riscossa delle famiglie che avevano perduto i propri possedimenti a causa del sostegno dato alla politica sabauda: e così Francesco [III] di Bricherasio poté recuperare nel 1373 il feudo di Macello. Inizia così un periodo particolarmente travagliato, visto che i marchesi di Romagnano, forti dell'investitura del 1368, non erano per nulla disposti ad accettare il fatto compiuto senza muovere obiezioni; e qui riteniamo opportuno riportare alcuni passi di Albino Caffaro, fratello di Pietro, che ci danno un quadro efficace del clima che si era venuto a creare nel Pinerolese: L'anno seguente, nell'agosto, il predetto Pietro di Caracossa e Pietro Aymadore furono aggrediti nel piano di Pinerolo al grido di ad mortem, ad mortem da Giovanni Camino, Giovanni Rabinelli, Giorgio Pellato, Antonio de Cabalario, Giovanni Turerii. Il Camino fu arrestato in flagrante e, mentre era dal castellano condotto alla curia, si imbattè in Burnone Fantini che veniva dal borgo e gli disse: quia non venistis omnes simul ad planum quando tales rumores fiunt? La lotta si era fatta con armi: dardi, tavolacci, spade, lance; e la questione era nata il giorno prima a Macello: tu pridie voluisti nobis plateam Macelli sufferre et facere nobis verecundiam dice uno degli aggressori ad uno degli avversari, e sfidandolo soggiungeva: recedas de platea (di S. Donato) aut malum adveniet tibi. Alcuni degli accusati, interrogati perchè si fossero trovati colle armi in piazza, in quell'ora, risposero che le armi le avevano indossate per andare al Monastero. Tommaso di Aymadore, fratello di Pietro, fu suo fideiussore; e molti de eorum agnatione ebbero parte alla contesa, che si ripetè ancora prima che quell'anno finisse. E di quell'anno medesimo, al Recluso del Monastero, in via publica prope crucem, dodici uomini di Macello armati di spade, mandati dal signore di questo luogo, uccisero Paolo di Novara, che incontrò la morte perchè era ad servicium domini principis. Il signore di Macello fu con lettera del giudice generale del Piemonte, che era pure giudice di Pinerolo, Michele Mantelli, datata da Pinerolo 10 novembre 1377, citato a comparire dinanzi alla giudicatura generale, per questo omicidio commesso per mezzo di sicari (per quosdam osusinos). Quello fu insomma l'anno delle gare intestine, e si comprenderà come venisse dal conte e dal principe in quei giorni del novembre di quell'anno stesso, proibito di pronunziare i nomi di guelfi e ghibellini. Queste lettere portano la data di Chieri, 22 novembre 1377, e proibivano a tutti i sudditi di pronunziar: vivat pars gibellina, moriatur guelfa oppure e contra, pena la lingua; e se ne fosse seguito versamento di sangue, pena il pugno; e se si fosse prodotto rumore o la morte di alcuno, pena la vita o per sospensione o per decapitazione. E proibivano del pari di gridare: viva il conte o viva il principe; ma a tutti facevano lecito di gridare: viva Savoia. Il Gabotto ci dice addirittura che il 3 febbraio 1391 giunse a Pinerolo la notizia che i Romagnano avessero occupato il Castello di Macello; allora si mosse l'esercito del Comune di Pinerolo per andare sotto la piazza assediata, dove arrivarono il 9: evidentemente non si trattava di un esercito molto efficiente, visto che sei giorni per coprire un distanza di circa 7 chilometri sono davvero molti; e lo dimostra anche il fatto che i progressi nell' assedio erano lenti, ed il 14 altri Comuni ricevettero l'ordine di muovere verso Macello il proprio esercito, od almeno una parte consistente. L'esito di questa guerra locale è sconosciuto: certo è che l'attenzione del Principe era distratta da problemi più gravi, e così i di Macello recuperarono tardi il loro feudo, e probabilmente lo tennero in condizioni tanto critiche da essere indotti a venderlo, il 7 giugno del 1396, ad Antonio Savi (de Sapientibus) di Susa. Non abbiamo nessuna notizia sul dominio di Antonio Savi su Macello, e le fonti divergono anche sulla data in cui lo stesso cedette il feudo a Filippo e Borgognone Solaro: se il Guasco afferma, senza citare la fonte, che la vendita avvenne il 16 dicembre 1418, altre fonti la anticipano al 1396; e, del resto, non abbiamo ragione di dubitarne, dato che nel 1418 Filippo era già morto. Comincia così il lunghissimo domino della famiglia Solaro su Macello, la cui storia non si separò mai da quella del paese, e la cui influenza arriva praticamente sino ai giorni nostri.